È
evidente
È evidente: a Gian Paolo Guerini non serviranno mai queste
parole. Piuttosto, gli farebbe comodo qualche public relations. Quello
dello scrittore, ormai, è un secondo lavoro, il primo essendo
appunto le p.r.: se funzionano, qualunque opera del suo tempo libero
potrà andar bene (non crediate al contrario: non fareste buona
riuscita).
Chi ha trovato irresistibili taluni recenti-modesti pastiches, leggendo
mattino di turbinio potrà riuscire infine a denigrarsi;
e quegli incoscienti pronti a vantarsi della fluidità delle
proprie associazioni mentali capiranno che convien loro iscriversi
al sindacato degli Associazionisti Anonimi.
mattino di turbinio: lo si direbbe titolo sufficiente, e se
Guerini fosse più ascetico - più crudele - potrebbe
anche rinunciare a d'agonia con bautte in seta di Cina. Ma
non dipende da lui: il mondo è involontario - il mondo, esorbitante
- e lui non è di quelli mossi a compassione dal vedere una
sola patata - sola - in una stanza per il resto vuota. Guerini testimonia
l'abbondanza, l'insuperabile groviglio, la minuziosa disperazione
di raccogliere ogni cosa che cade, seguire ognuna che resti indietro
si sposti. Temendo forse la minima perdita, si avvede di ogni movimento.
Farà accasciare i modesti, i riguardosi, gli stitici, ma ai
pochi altri sarà di gran diletto.
Nel
turbinìo
Sta fermo. È il suo modo d'inseguire le parole esistenti, e
raccoglierne le sorti. Perché quel che è stato scritto
può fare ritorno con ogni sua vanità in quel che lui
scrive - sfigurato al ritorno, e ignaro, che dice la propria debolezza.
Si direbbe che - mentre scrive - in qualche modo Guerini non smetta
mai di leggere, quasi che un mondo già concluso, e tuttavia
mal raccontato, richieda il Supremo Editing, un preciso e invogliato
inchiostrofago che faccia giustizia di tutto quel nero immoto nella
numerosa pagina; uno come lui, che invece di addomesticare i suoni
li fa più selvatici. È il contrario del collage, naturalmente,
il contrario del parassitismo ornamentale. È, piuttosto, che
le cose vanno e vengono, di per sé scontente, e meno male se
qualcuno le raccoglie in un dire a perdifiato, facendone turbinìo,
tenendo al viso una di quelle baùtte che fuor di laguna fanno
pensare a un oscuro francesismo. Se non mi capite, allora dirò:
la tricoteuse della porta accanto aveva allestito un affettuoso cardigan
per l'annoso noioso fidanzato, che naturalmente nel frattempo la lasciò,
e mentre lei si dissipava in lacrime qualcuno raccolse lo scivolato
a terra manufatto e gentilmente lo disfece, e nottetempo da quella
matassa cavò cosa affatto diversa, tant'è vero che lei,
giorni dopo, rinfrancata e passo-passo inoltrata in timido sorriso,
non riconobbe la sua lana allorché qualcuno le passò
innanzi con vera nonchalance da squinternato erede, e con il nuovo
indumento. Ho il sospetto che non abbia riconosciuto neanche lui,
poiché - dopo tutto - non indossava maschera alcuna. Turbinìo,
ve ne accorgerete, è anche il contrario di una dieta; d'altra
parte, il mondo è esorbitante, e Guerini non è di quelli
mossi a commozione dal vedere una sola patata - sola - in una stanza
per il resto vuota. Egli testimonia l'abbondanza, l'insuperabile groviglio,
la minuziosa disperazione di raccogliere ogni cosa che cada, seguire
ognuna che resti indietro si sposti. Dato che il tutto non gli basta,
figurarsi se può perdere alcunché. Ma state comodi al
suo respiro, a quel ritmo che somiglia al giro di blues di una leggenda,
al lato affettuoso di un'enciclopedia, a una forma estrema di amicizia
per le più dolci più astruse parole. Non le riconoscerete
facilmente, quelle parole, mentre scivolano altrove, tra un po' non
si sentono più.
Nanni Cagnone