Poema
finalista - Raccolta inedita - Premio
Montano XXIX Edizione (2015)
Gian
Paolo Guerini ci presenta una raccolta di duecento paragrafi, apparentemente
in prosa, chiedendoci espressamente di considerare l'opera come un
poema, dove ogni paragrafo, di diversa lunghezza per numero di righe,
è un verso. Dunque un'architettura unitaria, non per visibilità,
ma per composizione. Certo, non è cosa infrequente, oggi, nel
panorama poetico che si apre a nuove sperimentazioni formali e sostanziali,
proporre testi che si staccano dalla tradizione formale e sostanziale,
comprese quelle d'avanguardia, e così anche in questo caso,
l'intitolazione a "poema", ha le sue specifiche implicazioni.
Intanto non ne ha la struttura, né tradizionale né in
variazione codificata o anarchicamente variabile, mentre si presenta
con un sottotitolo, verificabile e vero, ma fortemente ironico.
Dunque l'intenzione dell'autore sembra appartenere a una sperimentazione
complessiva della struttura e del senso pensante, incarnata in un'opera
che deforma la significazione, ma senza toccare la grammatica o rompere
la sintassi o il lessico. Sposta invece, in direzioni inedite, il
sommovimento del dire nella sua comprensione intersoggettiva. E in
merito al dire - in sé, come qualità fondante il sentire
della scrittura poeta, e nelle specifiche modalità in cui si
snoda questa raccolta - Guerini scrive: "
a volte è
come una malattia
un'ossessione che non ti lascia mai la mente
libera
". Siamo, come si vede, dentro l'ascolto profondo
di ciò che la scrittura sente; quindi all'interno della percezione
propria del segno poetico. Un segno, inciso e corporeo, particolarmente
speciale, che disorienta e ammutolisce un lettore che vi cerchi agganci
semantici nominalmente riconoscibili. E ciò perché in
questa raccolta tutto il discorso è su un piano di significazione
altamente dislocato e disorientante, sia nei confronti dell'ordinaria
misura del discorso sia rispetto a una lingua sensitivamente mossa
come quella di ogni forma di poesia.
Ogni verso-paragrafo è una particella di concretezza surreale,
che dà all'insieme l'aspetto interiore di una figura deformata,
senza che questo impedisca però di proiettarsi all'esterno
con naturalezza. L'ordine sequenziale propone e spesso imbriglia una
selettività di motivi interni di ardua lettura. Un'oscurità
necessaria però: perché dal suo interno lascia filtrare
una luminescente nebulosa di sensi, che punteggiano un percorso, lampeggiando
in direzioni inusitate ma percorribili.
E un'indicazione precisa della poetica di Guerini ci viene dal titolo
di questa raccolta: Un attimo prima di desiderare, dove la
mente poetica si trova in uno stato di coscienza e di presenza autoriflessiva,
ma orientata verso il bordo e in procinto di un passo ulteriore. Un
avvicinamento al baratro dove la parola perde suono, ma anche un avvicinamento
al vuoto, che risucchia, scombina e riporta a nuova vita i tratti
distintivi significanti. Guerini ci dice che la scrittura è
certamente un atto desiderante, ma che, mostrando la sua incompletezza,
non può risolversi nel gesto desiderato: pur non raggiunto,
ma sempre in tensione congiunta. Anche là dove affronta la
contraddizione, o la nevrosi, che intimamente scombina la normale,
prefigurata e comunemente sentita, come vitale alla poesia, realizzazione
della pagina scritta. E infatti al quindicesimo verso scrive: "Nell'attimo
in cui le parole si sentono svanire, quale disdetta per loro, incarnarsi
nel testo". Ma nonostante questo, il poema, con estrema allucinata
lucidità, continua. Vi si trovano motivi parabolici, vicini
all'illuminazione zen, di de-significazione, sottrazione, diluizione,
dissuasione del senso; momenti che sfiorano una lirica malinconia
(
una nuvola in corsa sa sempre dove vanno i corpi nudi a
chiudere gli occhi); elencazioni: motti, detti, quasi proverbi
epifanici e cerebrali, che contengono, per inciso, frasi che inutilmente
tentano di raddrizzarne il senso (nel languore, (le mattine a letto,
senza rumori per strada, solo il ricordo della risacca mentre contemplo
la neve che scende) l'ordito sopito polverizza l'insolenza); la
lista dei venti che in scrittura soffiano con allitterazioni e rime,
fonosimbolismi assonanti, consonanti, risonanti, che improvvisamente
diventa bottoni, asole, isole e relitti che dialogano fino a diradare
il loro dite, "eterni con la paura di non durare e immediati
con il desiderio di svanire".
(Giorgio
Bonacini)